Una domenica a Mantimana

 

Anche questa domenica (7 di novembre) la giornata - come al solito - è iniziata molto presto per consentirmi di recarmi alla comunità e celebrare la messa. Però non ho fatto una passeggiata - come domenica scorsa - ma mi vennero incontro col trattore. Il batelão (traghetto) é ancora fuori uso e pertanto è impossibile andarci con la macchina, e per andare oltre il fiume occorre percorrere un’altra strada e servirsi di altri mezzi. Questa domenica sono stato a Mantimana, la comunità più distante della nostra parrocchia.

Alle 6h00 mi sono messo in macchina per raggiungere la zona di Fonte Santa (distante 12 km da dove abitiamo) e - lasciata la strada nazionale, asfaltata, e oltre passata quest’ultima località - dopo mezzora circa di strada di campagna ho raggiunto la sponda del fiume. La strada fangosa e con pozzanghere di ogni grandezza e differenti profondità richiedeva - per non rimanere bloccato e impantanato con la macchina - la mia abilità che avevo acquisito in questa terra e poi lasciato in Mozambico. 

Per attraversare, ho atteso di intravvedere qualche pescatore che con la propria barca fosse sul fiume o ancorato alla riva da qualche parte. Naturalmente, come domenica scorsa, per salire sulla barca ho dovuto togliermi i sandali per avvicinarmi – nel fango e poi nell’acqua - alla barca. Una volta dall’altra parte, la strada e i sentieri da percorre non necessitavano – come domenica scorsa - di stare attenti ai segni di riferimento (alberi), per orientarsi e non errare tra i vari sentieri più o meno simili, e facili da confondere. Il percorso era più facile da ricordare. Mi dissero, però, di aspettare presso il fiume e di non allontanarmi, perché l’animatore della comunità aveva incaricato uno dei benestanti e in possesso del trattore di venire a prendermi. Accettai volentieri tale proposta. Stavo pensando, infatti, che sbarcando era meglio che anch’io mi tenessi i sandali in mano come fanno di solito loro per tener da conto le calzature (ciabatte infradito) e alzati i pantaloni mi incamminassi a piedi nudi nel fango viscido e alto.

Il trattore – a parte le gomme posteriori nuove – era vecchio e con pezzi tenuti insieme con fil di ferro e l’ingegno dell’arrangiarsi. Lungo il percorso e seduto sull’arrugginito parafango della ruota del trattore, mi resi conto di quanto - se fossi andato a piedi - mi sarei sporcato e affondato in quel fango color grigio scuro, che ora si incollava sulle ruote e veniva scaraventato a zolle. Non perdevo l’occasione, nel frattempo, di contemplare tutto quanto mi circondava. Il sole - come domenica scorsa - era oscurato da nubi, altrimenti avrebbe già fatto sentire il suo calore sopra la testa e la sua forte luce avrebbe reso i colori della natura più brillanti e vivi, nonostante fossero già sgargianti e vivaci per le piogge torrenziali di questa settimana. I temporali degli ultimi giorni e di questa notte – dopo la lunga siccità dei mesi scorsi - avevano fatto rinascere e rinvigorire il paesaggio naturale. Nel silenzio e nella pace della vasta pianura della savana lo sguardo – come se fosse la prima volta e non ci fossi mai stato - vagava da un orizzonte all’altro, dal verde alle macchie di secco causate dalla siccità, dagli arbusti selvaggi agli alberi in lontananza … il rumore del motore intanto rompeva la quiete, il silenzio e la pace che regnavano ovunque.

L’entrata in Comunità sul trattore è stata trionfale. Sulla porta della cappella alcune donne intonarono l’“Hoyo-hoyo mafumbisa” (benvenuto padre) che venne subito accompagnato da tutte le altre voci dei presenti e ritmato dalla danza. Non riuscì a trattenere l’emozione e gli occhi gonfi. Che cosa sono mai per questa gente? Perché tutto questo? Si erano scomodati perfino col trattore perché non mi affaticassi e non mi sporcassi nel fango.

Erano numerosi ad attendermi e soprattutto donne con bambini grandi e piccoli che, come al solito, compongono - rispetto agli uomini - la maggior parte (¾) della comunità. Ho scambiato abbracci e parole di saluto. Ho rivisto volti conosciuti e non dimenticati. Con loro e in mezzo a loro, mi sembrava di essere uno di loro tornato da un viaggio e accolto in famiglia. Mi hanno informato di chi era deceduto e quali erano le condizioni di salute degli ammalati che visitavo. La cappella non era certo nelle condizioni migliori e nemmeno mi aspettavo di meglio, anzi ancor più si notavano i segni della trascuratezza, del tempo che passa e consuma. Non sembrava certo alle nostre chiese pulite e affrescate, addobbate e ben tenute.

Il canto d’ingresso - accompagnato dalle danzatrici, che si animavano al ritmo dei tamburi - ci ha fatti raccogliere e riunire in preghiera per presentarci all’unico Signore dei bianchi e dei neri che come figli dell’unico Padre si considerano tra loro come fratelli. Da un’altra parte del mondo so che qualcun altro sta partecipando alla messa e unendosi in comunione. La stessa fede che ci unisce, fa sentire le persone – anche se lontane - vicine e presenti, così come vorremmo che lo fossero tutti coloro che in un’altra dimensione vivono in eternità (così come il tema della domenica ci ha fatto riflettere).

Un’altra domenica e un’altra comunità ha condiviso la preghiera e la stessa fede. I miei saluti e il mio ricordo a tutti voi. Ciao, p. Ago